I bombardamenti ad Avellino: dalle stragi di ieri al caos di oggi

Che la memoria possa essere sempre garanzia di amor patrio e civiltà: a settantacinque anni dai bombardamenti, si rinnova il ricordo dei terribili giorni in cui i bombardamenti devastarono Avellino.

bombardamenti“Avellino, 14 settembre 1943”: uno dei capitoli più toccanti della nostra storia cittadina celebra oggi il suo drammatico anniversario. Perché le bombe fanno rumore, un chiasso assordante che resta impresso nella memoria rimbombando dai timpani e quelle che nel 1943 caddero su Avellino hanno scritto le pagine più drammatiche del Novecento irpino.

Alle ore 10:55 di martedì 14 settembre 1943, 36 fortezze volanti anglo-americane bombardarono Avellino causando numerosissime vittime e danni dalla portata incalcolabile. Le successive incursioni si registrarono alle 11:45, poi alle 13:30 e ancora alle 16:00 di quel tragico martedì. E nei giorni seguenti, il 15, il 17, il 20 e, infine, il 21 settembre le incursioni “alleate” si portarono a un totale di otto, seminando morte e distruzione. Sembra che gli americani ritenessero che la Piazza di Avellino fosse sede di un importante comando tedesco. Altri sostennero che lo scopo del bombardamento fosse, in realtà, quello di abbattere il ponte della Ferriera per rallentare la marcia di una Divisione dell’esercito tedesco, che si stava muovendo per contrastare le truppe americane sbarcate pochi giorni prima a Salerno.

La zona di Piazza del Popolo fu appiattita dalla devastazione, laddove pochi istanti prima c’erano il brulichio e il vociare spensierato del mercato; al centro storico fu completamente raso al suolo il settecentesco seminario, né furono risparmiati dalla furia delle bombe il Viale dei Platani, gli edifici scolastici di via De Concilii, i palazzi di Corso Vittorio Emanuele: basti pensare a palazzo Carulli, all’angolo di via Dante, che sulla base della colonna sinistra ancora oggi riporta i segni di storiche offese ed è lì a ricordarci quotidianamente  i tragici eventi di quei giorni.

I cittadini scampati alle bombe si rifugiarono nelle campagne, nelle masserie e, ben 1500 persone, trovarono rifugio presso l’Abbazia di Montevergine. La città, quasi completamente abbandonata, divenne preda degli sciacalli e degli abusi dei tedeschi, che saccheggiarono Villa Amendola e le gioiellerie Iannaccone e Apicella; inoltre, portarono via 4’800’000 lire dalla Banca d’Italia e 1’600’000 lire dal Banco di Napoli.

Il 26 settembre un cannoneggiamento furioso e incessante fu il saluto dei tedeschi in ritirata.

Il I Ottobre i primi soldati americani entrarono in città. Avellino offriva uno spettacolo di rovina e desolazione; dappertutto dominavano le insopportabili esalazioni dei cadaveri non ancora rimossi; Avellino era una città sterminata dalla guerra. Si pensò immediatamente di dover liberare le strade dalle centinaia e centinaia di corpi e l’unica soluzione fu quella di accatastarli con le carcasse degli animali e bruciarli in un unico immenso, straziante, deplorevole rogo.

In una situazione di totale abbandono e di autentica disperazione fondamentale fu il sostegno e l’aiuto concreto, materiale e morale, che vennero dalla comunità cattolica avellinese. Mentre l’Ospedale si rivelò una struttura inadeguata all’emergenza, anche perché la maggior parte degli operatori, terrorizzati dalle bombe, si diede immediatamente alla fuga, Don Giovanni Gianfrida, Don Mario Picariello, Padre Carmelo cercarono tra le macerie flebili richieste d’aiuto, e le Suore della Carità rimasero al loro posto a soccorrere feriti e moribondi: Suor Agnese, in particolare, si prese cura nel brefotrofio di trenta bambini ormai soli al mondo. Merita di essere ricordato il Vescovo Mons. Guido Luigi Bentivoglio che, mentre ancora imperversavano i bombardamenti, non esitò a scendere in strada per benedire i morti e assistere i feriti. Per questa sua abnegazione, l’8 dicembre 1945 la città di Avellino gli conferì una Medaglia d’Argento al Valor Civile e la Cittadinanza Onoraria.

Nel biennio in cui gli americani diedero vita al governo militare alleato, si ricominciò a parlare di libertà e democrazia, e il 24 novembre 1946, dopo un ventennio di dittatura, il popolo avellinese fu chiamato alle urne in occasione delle prime elezioni comunali. Francesco Amendola, primo sindaco di Avellino, si adoperò per risollevare la città dal pantano in cui era immersa.

L’8 luglio 1959, il Gonfalone della città fu decorato con la Medaglia d’Oro al Valor Civile, concessa dal Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi, e il 14 settembre 1958, in occasione del quindicesimo anniversario del bombardamento, fu ufficialmente inaugurata la stele all’ingresso della Chiesa del Carmine in Piazza del Popolo, danneggiata, ma miracolosamente sopravvissuta al terremoto. Avellino poté così ricordare per la prima volta i suoi morti.

Il 15 giugno 1967 l’allora Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat, in visita ufficiale ad Avellino, volle rendere omaggio alle vittime dei bombardamenti, deponendo una corona d’alloro sul monumento. E quell’omaggio è ancora oggi, e per sempre sarà, garanzia di memoria anche per coloro che non hanno esperienza visiva dei fatti in questione.

Analizzando le vicende avellinesi all’indomani dei bombardamenti un parallelismo emerge tra gli avvenimenti di quei giorni e quelli dei giorni nostri. Quella storia “minuta”, inserita nel grande evento della seconda guerra mondiale, fornisce infatti spunti di riflessione che portano al rinsaldarsi spontaneo di rapporti di solidarietà e di orgoglio in difesa della propria terra, e ispira l’auspicio che, così come quel popolo ferito, nostro antenato, riuscì seppur stentatamente ad arrivare alla ricostruzione dopo la devastazione della guerra, riescano i cittadini di oggi a superare le difficoltà loro contemporanee, impegnandosi affinché il cambiamento sia raggiungibile e affidandosi finalmente a un’amministrazione che faccia della legalità e della trasparenza i principi guida di una corretta azione governativa.

 

di Eleonora Fattorello

Source: www.irpinia24.it