Napoli e criminalità, dalla fiction ai baby boss della camorra 2.0

Sole, mare e sapori buoni: la Napoli di oggi ha anche il volto dei ragazzini in scooter che sfrecciano contromano alla conquista dei quartieri.

picLa camorra napoletana negli ultimi anni è cambiata. In un caotico scenario metropolitano di gruppi delinquenziali privi di strategia criminale, è diventata protagonista di fiction di successo, trasformandosi, da emergenza e cancro, qual era percepita dai più, in un vero e proprio fenomeno mediatico.

Sotto i riflettori internazionali, però, è tuttora riconosciuta come fenomeno socio-criminale; individualista, rammentata, organizzata orizzontalmente, la più violenta delle mafie italiane, responsabile ogni anno di un numero di omicidi da record, di decine e decine di vittime innocenti e della diffusione di un fenomeno criminale piuttosto recente: “la paranza dei bambini”. Si tratta di piccole gang di ventenni con velleità di potere, privi di solidi agganci con i vecchi boss in carcere, che uccidono e se ne vantano su Facebook, scimmiottando i loro riferimenti ideali, rappresentati dai protagonisti delle fiction celebrative dell’etica del male. Una vera e propria Babilonia, dunque, che rende la realtà partenopea pericolosamente confusa e delirante.

Sono i baby boss della camorra 2.0, che cercano soldi facili e non sognano un futuro, ancorati a un presente che li esige violenti, armati e incoscienti di fronte alla minaccia del carcere o al pericolo della morte, senza paura né senso del limite, pronti a rischiare tutto, la libertà e pure la vita, perché “i soldi li ha chi se li prende, non chi sta ad aspettare che qualcuno glieli dia“. E’ quanto scrive Roberto Saviano nel suo “La paranza dei bambini”, appunto, un atto di denuncia, in forma letteraria, un altro, che sia pure un monito per le coscienze di tutti. Perché, come disse il clown franco-algerino Miloud Oukili, “non esistono bambini di strada, ma bambini dimenticati da adulti, e quegli adulti siamo tutti noi“.

“Paranza” è un nome che viene dal mare, dalle barche a vela usate nella pesca a strascico per catturare i pesci con l’inganno della luce. Così, allo stesso modo, questi ragazzini ingannati vanno incontro alla morte pensando di arricchirsi. I “paranzini” non sono necessariamente ragazzi di periferia, poveri ed emarginati dalle istituzioni; i “paranzini” sono piuttosto figli di famiglie piccolo o medio borghesi, che trovano nel denaro facile e nella violenza l’unica forma di affermazione possibile. Non è una questione di miseria, dunque, ma di cultura in cui si vive, perché per questi ragazzi la vita non conta niente e tanta innocenza c’è, piuttosto, nella loro colpevolezza.  Mettono paura, è vero: il fato che siano bambini è un contrasto terrificanteSono giovani criminali che non badano ai legami di sangue, si fanno beffe dei lavoratori onesti, imitano la strafottenza di Genny Savastano, fanno dei terroristi dell’Isis i propri modelli di riferimento, sparando all’impazzata e seminando il terrore in sella ai loro scooter.

Sulla necessità di studiare il fenomeno camorristico si era soffermato già nel 1863 lo scrittore francese Marc Monnier che, vissuto a lungo a Napoli, rivolse i suoi studi prevalentemente alle condizioni politico sociali dell’Italia contemporanea e, in “La camorra: mysteres de Naples, scrisse: “La camorra potrebbe essere definita l’estorsione organizzata: essa è una società segreta popolare, cui fine è il male. E’ utile studiarla da vicino, non solo per osservar costumi ancor poco conosciuti e offrire qualche singolarità di più alla curiosità del pubblico, ma soprattutto per mostrar i veri ostacoli che l’Italia incontra a Napoli”.

 

 

di Eleonora Fattorello

Source: www.irpinia24.it