“C’è la crisi”: nella verde Irpinia, anche l’agricoltura è allo sbaraglio

In un territorio in cui il settore primario è sempre stato fondamentale per l'economia e per l'occupazione, come vive, oggi, l'agricoltura?

RIforma-della-Pac-un-pasticcio-per-l-ambienteGli Avellinesi non vivono bene. A stabilirlo una classifica che, su 110 città italiane, colloca il capoluogo irpino al 93° posto per qualità della vita.

E non c’è da stupirsi, perché la popolazione da anni patisce disagi e disservizi dovuti, a suo dire, a un’evidente mala gestione a livello sociale e della cosa pubblica in genere, che la condanna all’abbandono e la costringe a districarsi tra una miriade di difficoltà logistiche ed economiche per garantirsi una dignitosa sopravvivenza. “C’è la crisi”: è la frase ricorrente che al mercato, negli uffici pubblici, nel passeggio cittadino si sente ripetere come una litania triste che esprime sconcerto e rassegnazione insieme, di fronte a una realtà, quella campana, italiana ed europea addirittura, dalla vitalità rallentata, spenta, ridotta all’immobilismo.

Uno dei settori che maggiormente ha risentito e risente della crisi economica è notoriamente quello primario: la cultura rurale, tramandata dalle famiglie contadine tradizionali, è stata sostituita, oggi, da un’agricoltura industriale che va al di là della produzione per il semplice sostentamento e in cui una logica di mercato ha travolto e affossato la piccola azienda, a scapito anche della ricerca della qualità. L’agricoltura irpina non riesce ad adeguarsi ai tempi che cambiano e vive un drammatico momento di stallo. I piccoli imprenditori lamentano l’assenza di una politica di protezione a livello di Comunità Europea, che si integri con la comunità, individui le esigenze specifiche di ciascun territorio e, tenendo conto di disuguaglianze e peculiarità, venga incontro con interventi mirati a realtà profondamente in difficoltà qual è quella irpina, in cui la competizione con le grandi aziende equivale a una condanna all’emarginazione.

E questo è profondamente ingiusto, gli agricoltori si sentono vittime, mortificati ed impotenti di fronte a una confusione normativa che li ingloba in una categoria senza fare le giuste valutazioni, senza isolare le differenze; che impedisce perfino all’associazionismo, che a volte è l’unica arma per condurre una battaglia, di attrezzarsi per agire in funzione di tutela.

Eppure dall’agricoltura si potrebbe ripartire, puntando sulla multifunzionalità che la caratterizza, operando affinché i giovani, soprattutto, vengano messi nella condizione di investire nella tenuta e nella crescita della produttività agroalimentare. Guardando al futuro, l’agricoltura potrebbe incidere positivamente sull’ambiente e sugli stili di vita, se impiegata nelle sue potenzialità sociali, utili a favorire e consolidare relazioni di comunità. Fattorie sociali, fattorie didattico-educative, orti urbani, centri ippici rientrano in quel concetto di “agricoltura civile” che può fornire servizi e trasmettere cultura rurale, anche attraverso il turismo, ma sempre col giusto sostegno e sfruttando in maniera adeguata le risorse inerenti all’uno e all’altro settore, per creare insieme cultura e profitto.

 

 

Source: www.irpinia24.it