“Era mia madre”: Iaia Caputo sull’amore a 360°

Un romanzo coinvolgente che indaga l'universo femminile e le complesse sfumature dell'essere donna, attraverso la storia di una madre e di una figlia.

fotoUn verbo all’imperfetto per introdurre una storia ha il sapore del “C’era una volta” nelle fiabe da bambini. “Era mia madre”, di Iaia Caputo, edito da Feltrinelli, reca nel titolo già un senso compiuto, l’esito di un viaggio di recupero, di scoperta, di conoscenza di sé attraverso l’avvenuta riconciliazione con le proprie radici. La saga familiare, la biografia, il romanzo epistolare e di formazione convergono nell’opera di Iaia Caputo: donne, madri e figlie che cercano di trovarsi nella comprensione profonda delle reciproche debolezze, in uno spazio in cui, al di là dei ruoli e delle distanze generazionali, ci si riconosca tutti esseri umani.

Alice ha trentacinque anni ed è una ballerina; è espatriata a Parigi e non ha figli, né un lavoro fisso, né un compagno con cui condividere progetti. Ha riempito la sua vita di sogni rincorsi e perduti, viaggiando e innamorandosi per riuscire a trattenerli, con la speranza e il bisogno costanti di colmare un vuoto, di zittire un’insoddisfazione profonda.

La malattia della madre, tragica e improvvisa, segna per lei l’inizio di un viaggio nuovo, un percorso delicato di dialogo nel silenzio, che segna il punto di demarcazione e, insieme, di unione tra il passato e il presente. Nei mesi in cui veglia sua madre che, colpita da un aneurisma cerebrale, giace in un letto addormentata, Alice scopre molto del passato di lei e del rapporto inquieto con il proprio padre, ma soprattutto capisce che diventare adulti significa anche farsi carico di sé e degli altri. Nel tempo del dialogo, dell’ascolto, dell’accoglienza generosa e paziente si delinea, attraverso il racconto della protagonista, la figura di una donna colta e dai gusti raffinati, troppo a lungo esclusa dalla vita della figlia per poi essere ritrovata. “Se fossimo costantemente consapevoli d’essere incessanti produttori di ricordi per i nostri figli, ma anche di guasti, scompensi, dolori e incompiutezze, smetteremmo di respirare per il peso di questa responsabilità. Meravigliosa e terribile“.

La malattia irrompe nella vita di Alice interrompendo bruscamente un equilibrio apparente fatto di rancore covato, disagio e lontananza emotiva, ma diviene anche lo spunto per indagare quel senso di inadeguatezza profonda, per mettere ordine e per ricucire un rapporto. “Dentro di me si era schiantato il mondo” confessa Alice, che impara a conoscere sua madre attraverso un carteggio, le pagine di un diario che le aveva scritto anni prima. Le lettere della madre sono uno scrigno di segreti, custodi dell’intimità di una donna, nascosta da sempre agli occhi della figlia dietro l’apparente controllo di ogni situazione. Cambia Alice. rispetto al presente e rispetto a un passato superficialmente cristallizzato, poi riscoperto nella sua autenticità anche grazie all’antica saggezza, all’esperienza e all’ardore della nonna Sinforosa.

Ai lettori di questo libro viene consegnato un messaggio importante, che è, insieme, la possibilità di acquisire la consapevolezza che i rapporti con le madri e con le figlie non sono mai scontati, immediati né perfetti, perché “l’imperfezione è inevitabile – spiega l’autrice – e io non credo nei rapporti educati, come non credo nelle buone o cattive madri. Ci sono solo gli esseri umani, con i loro momenti di eroismo o di debolezza“. E proprio quando crede di perdere tutto, Alice trova molto più di quello che ha sempre cercato perché, nonostante il non detto, sua madre le trasmette un viatico, una postura nei confronti del mondo, per accomiatarsi, per dirle addio con gentilezza: “Avrei imparato con il tempo – confessa Alice – che le soglie, come i distacchi, sono infinite. Una madre e una figlia non si separano con un colpo solo, netto, pulito, ma attraverso strappi successivi, e neppure sempre tristi, o dolorosi” perché, in fondo, diventare adulti è una questione di separazione.

In questo romanzo le donne assumono un ruolo centrale, ma nel loro universo emerge la figura di un padre, Arturo, un uomo “sgonfio di vita”, triste, amareggiato e scoraggiato, coinvolto da giovane nello scandalo di mani pulite con l’accusa di corruzione e colpevole, dunque, di aver deluso la figlia, determinando una frattura quasi insanabile. Con sua madre sospesa sulla soglia tra la vita e la morte, ad Alice è concesso il tempo per recuperare affettivamente i propri genitori e imparare che “l’unica eredità di cui disponiamo è l’amore che abbiamo ricevuto, l’amore che ci ha preceduti“.

 

di Eleonora Fattorello

 

Source: www.irpinia24.it