“Le otto montagne”, Cognetti: “Un romanzo che parla di due amici e una montagna”.

Due misteri a confronto: l'uomo e la montagna al centro di una storia di discese e risalite alla ricerca della verità.

Le-otto-montagne-620x372Con “Le otto montagne” Paolo Cognetti entra in Einaudi consegnando ai lettori un romanzo potente che parla di legami e di crescita alla costante ricerca di se stessi. Venduto in 22 Paesi e già candidato al premio “Salerno libro d’Europa”, “Le otto montagne” è innanzitutto un romanzo d’avventure che indaga il dentro e il fuori dell’essere umano, approfondendo, in prosa essenziale ma straordinariamente intensa, tematiche intime e universali quali la paternità, l’amicizia, la solitudine, la speranza, il cambiamento, la necessità . di costruire o recuperare una coscienza identitaria, che consenta di riconoscersi e ricollocarsi. C’è la montagna al centro di questo racconto, che come una madre genera, insegna e costruisce storie, le tante, diverse, che Cognetti lega al protagonista, Pietro.

Ragazzino di città solitario, silenzioso e un po’ schivo, Pietro è figlio di genitori uniti dalla passione comune per la montagna, luogo fisico ed ideale di questa storia, custode di affetti familiari e di amicizia, che aveva fatto innamorare i genitori di Pietro, abbandonata, poi, per la più caotica e noiosa Milano, col suo orizzonte lineare che riempie di rimpianto e nostalgia talmente potenti da portare il padre di Pietro, di notte, ad aprire le finestre per insultare la città: “Certe notti mio padre non ne poteva più, si alzava dal letto, spalancava la finestra come se volesse insultare la città, intimarle il silenzio”. Il paesino di Grana, ai piedi del Monte Rosa, diventa la scoperta illuminante; in quel luogo d’elezione, possibilità di un’identità parallela, Pietro trascorre tutte le estati, oscillando tra il richiamo di una natura solenne, disumana a volte, maestosa e indifferente, e i richiami della città.

Mio padre morì quando lui aveva sessantadue anni, e io trentuno. Solo durante il funerale mi accorsi di avere l’età che aveva lui quand’ero nato io. Ma i miei trentun anni assomigliavano ben poco ai suoi: io non mi ero sposato, non ero entrato in fabbrica, non avevo fatto un figlio, e la mia vita mi sembrava per metà quella di un uomo, per metà quella di un ragazzo”. A Pietro e a suo padre non è bastata un’esistenza per riuscire a comprendersi, si sono delusi a vicenda e non si sono parlati per anni, sono stati lontani e nel padre si è radicata un’infelicità endemica che ha tolto spazio alla riconciliazione. Metà uomo e metà ragazzo, Pietro scopre la possibilità di ritrovare suo padre attraverso la montagna, percorrendone i sentieri, anche e soprattutto in assenza, addentrandosi nei suoi ricordi, per comprendere il passato e forse accettarlo. Da lì una rinnovata alleanza nasce tra loro, perché la montagna diviene teatro di un percorso educativo, di vita e di sapere, che si rivela il lascito più vero del genitore, un patrimonio da custodire e amare: “Eccola lì, la mia eredità: una parete di roccia, neve, un mucchio di sassi squadrati, un pino”.

Romanzo d’educazione e di formazione, “Le otto montagne” racconta, oltre alla paternità, anche l’amicizia maschile: “In questi anni - dice Cognetti - quando mi chiedevano di cosa parla, rispondevo sempre: di due amici e una montagna”. E’ una storia di amicizia tra due uomini: Pietro e Bruno, una vita, quella di quest’ultimo, scandita dal duro lavoro e dai ritmi dettati dalla natura, che si occupa del pascolo delle vacche, sono così diversi da assomigliarsi. Sono anime affini che si sono incontrate, riconosciute e, senza troppe parole, scelte. Ogni estate, Pietro lascia la città per trascorrere le vacanze in montagna, e lì ad aspettarlo c’è Bruno, che nelle avventure condivide con lui il divenire adulti, sbagliando, cadendo, riprovando. Un’amicizia che si costruisce, granitica, sul silenzio delle parole, ma sulla comunicazione degli stati più intimi e sulla condivisione delle più significative esperienze. Parchi di parole e dai sentimenti assoluti, Pietro e Bruno trovano nella solitudine la condizione ideale in cui vivere. Spiriti solitari, dunque, silenziosi e un po’ selvaggi, sono capaci di affetti profondi che non si nutrono di parole, ma di un sentire comune.

La scrittura di Cognetti crea quella sorta di incantesimo che, misurando le parole, evoca col non detto e resta dentro. L’autore parla di luoghi e stati d’animo con un’estrema attenzione al dettaglio, senza perdersi, però, in descrizioni lunghe e minuziose né in dialoghi serrati; non svela mai fino in fondo, lasciando al lettore ampi margini d’interpretazione, perché l’implicito crei quella tensione necessaria a rintracciare nella propria, personale, memoria ciò che manca al racconto.

Tra esplorazioni e scoperte, case abbandonate, il mulino e i sentieri più aspri, il fascino di questo romanzo sta, inoltre, nella sua peculiare e paradossale modernità che racconta di cose antiche, come l’intimità fisica della mungitura o il rito della cagliatura del latte. Parlando la lingua concreta delle cose, Cognetti richiama quel mondo contadino da cui discendiamo tutti, ma che sembra avviarsi al fallimento. Rassegnazione e malinconia si percepiscono tra le righe: “Può anche apparirti del tutto diverso, da adulto, un posto che amavi da ragazzino, e rivelarsi una delusione; oppure può ricordarti quello che non sei più e metterti addosso una gran tristezza”. Tristezza cui fa da contraltare, in un vortice di dualismi, l’ostinata speranza di chi non vuole arrendersi nonostante le difficoltà, che si spinge oltre i propri limiti per riappropriarsi del suo posto nel mondo e conquistare la cima.

 

di Eleonora Fattorello

 

 

 

Source: www.irpinia.it