Paolo Rumiz riscopre l’Appia: è in libreria il libro sulla Regina Viarum

Il giornalista di Repubblica racconta del viaggio compiuto per ovviare all'amnesia di una Nazione e parla dell'Appia come della grande dimenticata delle strade europee.

RUMIZ 1

In “Appia” lo scrittore e  giornalista Paolo Rumiz racconta l’appassionato viaggio lungo la Regina Viarum, un cammino percorso interamente a piedi da Roma a Brindisi sulle tracce dell’antica via Appia, con lo scopo di riesumare l’inestimabile valore storico e culturale della prima direttrice dell’impalcatura stradale romana, un patrimonio di memoria che congiunge quattro regioni del sud, attraverso territori splendidi e spesso dimenticati. Il gruppo comprendeva quattro camminatori, capitanati dal ligure Riccardo Carnovalini, il massimo camminatore italiano. 

In occasione della presentazione al Circolo della Stampa, “In molti avevano cercato di dissuaderci – raccontava Rumiz – Attenti, dicevano, dopo i colli romani la traccia si perde. Troverete cemento e tangenziali, recinti privati e cani liberi. Sarà una fatica tremenda. Più cercavano di farci desistere, e più ci convincevano che l’idea era buona. Ci mandava in bestia che proprio la Regina Viarum si perdesse nel nulla. Ci consigliavano di fare piuttosto il Cammino di Santiago, ma noi eravamo solo viandanti e volevamo una strada laica, italiana e tutta nostra. Non una moda, un’invenzione del marketing, ma una direttrice solitaria, scolpita nella pietra, fatta di sangue e sudore, percorsa da legionari e camionisti, apostoli e puttane, pecorari e carri armati, mercanti e carrettieri. Una linea che ci possedesse. E difatti, ora che l’abbiamo battuta metro per metro, ora che tutto è finito, non riusciamo a togliercela di testa“.

Scritto più per passione civile che per godimento letterario, “Appia” racconta il bello e il brutto, l’antico e il moderno dell’Italia grazie alle testimonianze e agli incontri di quel viaggio di rivolta contro l’oblio. La narrazione si condisce di odori e sapori, bellezze e brutture, umanità semplice e genuina accoglienza: si elevano gli uliveti, si estendono i campi di papaveri e aglio selvatico; si vedono gli agricoltori campani con le mani grandi piene di fave fresche in regalo ai viandanti; si sente la tarantella dei campanacci al collo delle vacche; ci si imbatte nelle fauci infuocate del drago, l’altoforno dell’Ilva tarantina.

Non stavamo solo ripercorrendo l’Appia antica – diceva l’autore – La stavamo ritrovando. La riconsegnavamo al Paese dopo decenni di incuria e depredazione. Patrimonio non è merce in vendita, ornamento di sponsor, scusa per sdoganare cemento. Patrimonio è la terra dei padri. E noi questo cercavamo, non con la testa e forse nemmeno col cuore. Volevamo farlo coi piedi, che vivaddio non sono arti, ma nobilissimi organi di senso“. Perché per Rumiz il camminatore è, al tempo stesso, un grande concreto, che non si accontenta della realtà virtuale ma vuole testare con l’esperienza, e un grande visionario, che macinando chilometri sente progressivamente azzerarsi la distanza che lo separa dall’antico.

Non so dire cosa mi resti più impresso di quest’avventura – spiegava infine Rumiz – Non so decidermi tra le facce e i paesaggi, le cose viste e quelle assaggiate o solo annusate. Di certo so che questo è stato il più terreno e insieme il più visionario dei miei viaggi“.

 

di Eleonora Fattorello

 

Source: www.irpinia24.it