A Calitri la presentazione di “Nzoccherè” di Angelo Trunfio

La presentazione dell'ultima opera di Angelo Trunfio promossa dal prof. Paolo Saggese

libro-Calitri - L’Amministrazione comunale di Calitri Presenta il libro di Angelo Trunfio “‘Nzoccherè”, Libro di poesie, racconti, articoli (Pannisco 2015).

Saluti

Maria Antonietta Abate, Assessore alla Cultura

Una delegazione dell’Amministrazione comunale di Villamaina

Intervengono

Vito Marchitto, docente

Paolo Saggese, Centro di Documentazione Poesia del Sud

Sarà presente l’autore

Ex Casa dell’Eca, Calitri ore 18.00, 8 agosto 2015

 

Ecco il testo dell’Introduzione al libro di Paolo Saggese

 

Angelo Trunfio

Un poeta della Vita

 

Paolo Saggese*

 

Ho già avuto modo di scrivere sulla produzione in versi di Angelo Trunfio. Ne ho scritto in modo commosso, partecipe, introducendo la sua precedente raccolta, Vrénzole (Brandelli) - Scuderi editrice, 2011 -, e inserendo un suo profilo nella mia storia della poesia irpina1.

Ho anche ammesso, ma senza costrizione alcuna, anzi con vivo piacere, che Angelo Trunfio, con la sua figura affabile e signorile, calda e dolce, mi evocava la dolcezza e la simpatia di comuni radici. Anch’io posso riconoscere in Villamaina un mio “paese dell’anima”, un luogo in cui confluiscono ricordi, gioie, momenti spensierati della mia infanzia e giovinezza. Più vado avanti con gli anni, più sento vicine le vacanze passate nella casa antica e immensa di mia nonna Rosa, più sento vive le avventure e le “imprese”, che portavamo a termine con la complicità di uno zio (Giovanni Trunfio) di poco più grande di noi nipoti. Ho in mente, nel cuore, le domeniche d’estate trascorse sotto il gelso, con una marea di cugini e con tanti zii: queste immagini mi vengono incontro dalle foto, che osservo, girando per casa, dalle immagini depositate nello scrigno dei miei ricordi. Il pensiero poi corre subito a mia madre: devo dire che più passano gli anni, più sento forte il dolore.

Quando parlo con Angelo, oppure quando leggo le sue poesie e i suoi racconti, come anche gli articoli qui editi, mi si affollano nella mente tutti questi ricordi, non solo perché il poeta incarna “quella” Villamaina forse adesso viva solo nei nostri cuori, ma anche perché nei suoi versi sono evocati anche i miei, i nostri cari. Infatti, Angelo ha trascorso la sua infanzia e la sua giovinezza in una casa vicina a quella di mia nonna, ha avuto rapporti di vicinanza e di affetto con tutti i protagonisti della prima parte della mia esistenza, mi dimostra ogni volta quella affabilità e quell’affetto ereditati da anni di vita vissuta.

Perciò, le poesie di Angelo sono per me una madeleine proustiana, richiamano sapori, odori, immagini, che favoriscono la ricerca di un tempo perduto.

Del resto, una delle prime poesie, che ho letto di questa nuova raccolta, che nel titolo umile e volutamente dimesso (Nzoccheré = un non so che cosa) richiama la precedente Vrénzole (“brandelli”), è dedicata proprio a mia madre ed è stata scritta nei giorni in cui si spegneva e inaugurava una nuova vita, immaginata nel gioco infantile in Paradiso insieme alla sorella, zia Tetta, insieme al papà (nonno Tommaso, un vero idolo per mamma), insieme alla madre. Questa poesia, Tetta era sola, ovviamente mi ha commosso, l’ho letta più volte e più volte ho tentato di reprimere la commozione. Ma credo che, al di là delle mie motivazioni personali, questi versi dimostrano una delicatezza d’animo, che fanno di Angelo un poeta vero, cioè un poeta della vita.

Del resto, in queste poesie ritorna frequente il motivo della morte, della fine, della speranza, sentimenti, che sono vissuti da Angelo con equilibrio, con misurata malinconia, con quella “misura” antica (la metriòtes greca, la mediocritas latina), che è propria dell’uomo sereno, che ha compreso il ruolo di ognuno di noi, e che ha accettato il destino ineluttabile. In tal senso, ho riletto più volte Fantasia, ho meditato molto su Ci credo, un componimento pienamente francescano, che ricorda alcune bellissime poesie del nostro comune amico Giuseppe D’Errico, un autore e studioso di grande valore, ma soprattutto un uomo di immense doti e qualità2.

Ecco i versi iniziali:

Nelle interminabili anticamere del sonno

che tarda a venire, colloquio con te,

sorella ultima del mio vivere mortale e

vorrei non aver paura di aver, di te, paura.

 

Tuttavia, come in D’Errico, la “sorella morte” non significa fine, non significa sconfitta nichilista, perché, scrive Angelo con certezza:

Ma non sarò senza meta, perché sotto

il Manto Sfolgorante di Luce Divina

io cercherò riparo ai guasti del peccato.

Lo spero. Fermamente ci credo.

Potrei segnalare altre poesie, gioiose, scanzonate, allegre, componimenti d’occasione, per le attività ad esempio dell’Università della Terza Età di Avellino, per i compleanni di amici, di amiche, per il Natale, per le malattie, per i carissimi nipotini, per la moglie, per la figlia, per i momenti di gioia, per le vittorie nello sport, per i pensionamenti, per il Natale. Mi soffermo, tuttavia, ancora su un componimento, che ha un carattere meditativo o evocativo, e che mi sembra particolarmente riuscito. Infatti, riecheggiando e variando Quasimodo, Angelo scrive:

 

E fu subito musica

 

Una goccia di rugiada

imperlò un petalo di rosa;

un raggio di sole

ne catturò i riflessi

e fu subito musica

e fu subito poesia

e fu subito lode al Signore.

1 Paolo Saggese, Storia della Poesia Irpina 2 (dal primo Novecento ad oggi), Introduzione di Ugo Piscopo, Delta 3 edizioni, Grottaminarda, Av, 2013, pp. 186-189.

2 Per il quale cfr. il libro collettaneo (in cui compare anche un bel ricordo firmato da Angelo Trunfio) Vita e opera di un “Operaio di sogni”. Giuseppe D’Errico uomo, docente, poeta, scrittore e critico letterario, a cura di Peppino Iuliano, Teresa Romei, Paolo Saggese, Salvatore Salvatore e Armando Saveriano, Delta 3 edizioni, 2014.

Source: www.irpinia24.it