Mannarino a Mirabella Eclano: “Una comunità forte, per questo ho chiuso qui il mio tour”

mannarinoMirabella Eclano - Lunedì 22 Settembre 2014 ore 20h00. La piazza di Mirabella Eclano è un catino stipato all’inverosimile, insufficiente a contenere l’entusiasmo da sempre vivo per il cantautore romano premiato come miglior artista Mei dell’anno. Ricevo una telefonata dalla produzione dell’artista nel quale mi comunica che Alessandro Mannarino è appena arrivato in Irpinia, all’Hotel che dista alcuni km dal luogo dell’evento e che l’intervista, fino a quel momento in dubbio, è confermata per le ore 20h45. Con slancio e determinazione, grazie anche ai potenti mezzi della importante organizzazione dell’evento, ci fiondiamo scortati dalla polizia, nella hall dell’hotel irpino. Con Adriano Imbriano coordinatore artistico del Comitato Festa Eclanese, ed il mio video – operatore Sergio Quaglia.

All’ingresso dell’Hotel ad attenderci “Alessandro”, come si presenta allungandomi la mano, che ci accoglie con un sorriso. Intorno a lui un plotone di protezione che lo segue in ogni suo movimento, tra produttori, agenti, manager e personale della sicurezza. Il più tranquillo e discreto di tutti è l’esclusivista per la Campania dell’artista, l’amico Nicola Molinario che, conoscendomi bene, sa di essere in ottime mani. Il posto dell’intervista previsto dal Tour Manager della produzione capitolina, è proprio nella hall. Ma per creare una atmosfera più intima, consapevole delle domande che avevo preparato, faccio presente al cantautore dal dress code only black dal baffetto agli stivali, che c’è una sala stampa a pochi metri, dove potremmo instaurare un momento più consono ad una intervista.

Il tempo di lanciare uno sguardo ai suoi scudieri, ed esorta il suo entourage a restare nella hall ad aspettare il suo ritorno mentre ci raggiunge nella saletta che abbiamo nel frattempo approntato per l’intervista. Eccoci al cospetto di quello che molti considerano in questo momento il più importante artista contemporaneo della nazione italica. Siamo solo noi, per una volta, senza interferenze.

(D) Grazie per averci dato questa opportunità, sappiamo che non sei particolarmente predisposto a concedere interviste. E’ un vero piacere che tu abbia scelto noi.
(R) Il piacere è mio. In verità è quasi una scelta forzata. Ci sono tante richieste che specialmente ora arrivano ai miei manager, che purtroppo devono necessariamente fare una cernita, e sono felice di incontrarvi.

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(D) Partiamo dalle origini. Nonostante una leggenda metropolitana dice testualmente: Mannarino era popolare ancora prima che uscisse il suo primo album, noi sappiamo che un tempo ti svegliavi alle cinque del mattino per andare in cantiere. Poi nel Settembre del 2006 alla Notte Bianca di Roma hai visto un concerto di Vinicio Capossela, e il giorno dopo ti sei licenziato. Considerando che quella notte al Pincio c’ero anch’io a vedere per la prima volta il Marajà dell’Irpinia d’Oriente, Cosa è successo a te in quella circostanza?
(R) In quel periodo già facevo concerti, ma solo a Roma, avevo appena finito il liceo ed iniziai a lavorare da inserviente al McDonald, poi da facchino al supermercato GS, e poi ancora ho fatto l’imbianchino ed il manovale per pagarmi gli studi e la stanza dove dormivo. Vivevo un momento di confusione, frustrazione, ero uno di quei ragazzi che si apprestava a diventare uomo e non aveva ancora una strada segnata, tanta era la delusione della famiglia che avvertivo una reale ipotesi di fallimento da parte di chi mi sta intorno. Facevo un genere di musica ispirata alle radici della musica popolare. Facevo il DJ nei localini intorno alla Stazione Termini e al Rione Monti. Mi ero di fatto avvicinato alla World Music, da Gaetano Peloso a Goran Bregovic che all’epoca erano ancora considerati quasi di nicchia. Considerando poi che i miei testi erano legati al surreale e alla ribellione, fino a quella notte avevo avuto paura di fare un disco. Invece vedere quel concerto con l’energia che si era sprigionata mi ha dato fiducia e mi sono detto: allora posso farcela anchiio ad intraprendere questo percorso con questa musica e con questi testi. E sull’onda dell’emozione e sulla bellezza di quella notte, al mattino mi licenziai e cominciai a pensare a preparare un progetto discografico. Mi sono messo sotto e nel giro di due anni ho fatto il primo disco.

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(D) Il tuo percorso è partito da una crisi esistenziale. Un periodo in cui poca gente conosceva le tue canzoni ed eri un ragazzo come tanti con nessuna certezza di potercela fare. Poi hai scoperto che il tuo seguito cresceva in modo esponenziale e hai reagito ad una depressione economica e culturale con grande determinazione. Possiamo dire che per il tuo vissuto oggi rappresenti un esempio a cui ispirarsi per tanti giovani che non riescono ad emergere, un monito a non mollare mai? 
(R) Si, intanto è vero che il percorso è partito da una depressione personale. Da una difficoltà interna, interiore che si alimentava ogni giorno di più. Quando prendi la china dell’autodistruzione, della malattia come la chiama qualcuno, è un mostro che si alimenta di se stesso e degli errori della notte prima, il giorno è sempre più gonfio. ( in questo momento si avverte una forte emozione nelle sue parole che sussurra con voce profonda alternata a intensi sospiri) Io ho cercato di intraprendere una ricerca e un percorso per stare meglio e per farcela. Nel frattempo quella depressione che tu chiami economica e sociale, io attraverso il mio stato già la immaginavo, l’avevo intuita dalle facce, dalle persone che vedevo intorno a me in questa Roma che era diventata la città dei Suv e dei colletti alti e bianchi, una classe di burocrati e intrallazzoni. Vedevo maschere di cera che si scontravano con la cattiveria del sole nell’ora di punta, e c’è sempre un’ora di punta.

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(D) Quindi bisogna continuare a crederci, possono farcela i tanti giovani che oggi si ispirano al tuo percorso?
(preso da un momento di profonda riflessione, abbassa lo sguardo e rimane in silenzio per una pausa inaspettata, e poi guardandomi in modo penetrante mi dice): 
(R) Io a questa domanda non so rispondere sinceramente. (e inevitabilmente in questo momento è il mio sguardo ad abbassarsi) La cultura del nulla, quello che è stato raccontato benissimo in quel romanzo potentissimo “La Storia Infinita”, istilla nell’uomo una capacità di soffrire e di farsi fare qualsiasi cosa perché non può immaginare la bellezza di una vita diversa. Quindi io sono molto angosciato al pensiero dei giovani perché la cultura del niente sta facendo diventare l’essere umano un consumatore che viene consumato dal consumo. Penso che ci siano dei nuclei di resistenza, delle realtà umane molto forti e controcorrenti, che anche se minacciate dall’onda dello Tsunami del nulla, mi fanno avere fiducia nella imprevedibilità della storia.

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(D) Un percorso chiaro, che parte dalle osterie, poi passa per le strade delle città e se ne va fuori dalla dimensione urbana. Sei passato dalla rabbia della pancia ai pensieri della mente, mescolati ai concetti della tua formazione universitaria antropologica. Questa tua crescita culturale ti ha portato oggi a preferire i toni bassi alle urla, a bandire i bagordi scaccia pensieri per trovare invece il modo di dire a tutti che bisogna organizzarsi e confrontarsi. (finalmente mi guarda e annuisce abbozzando un sorriso esclamando: vedo che sei veramente molto preparato) E’ questa secondo te la giusta strada da seguire per affrontare e risolvere i problemi che oggi ci affliggono?
(R) Si è proprio così, dopo aver passato anni ad urlare al mondo la mia ribellione, oggi ho capito che bisogna essere rivoluzionari con il pensiero, con la testa.

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(D) Ma dalla bettola del Bar della Rabbia alla città di Supersantos sei salito al Monte anche attraverso un viaggio musicale immenso. Una ricerca personale che ti ha portato anche attraverso la Musica Balcanica, Argentina e Brasiliana. In questo tuo percorso nella World Music dove collochi invece il dialetto?
(R) Il dialetto è la lingua della classe subalterna, e la lingua della pancia, quando parli con un amico o con la tua ragazza tu parli in dialetto. La lingua dei poveri e degli sfruttati che è sempre stata fregata dall’Azzecca Garbugli di turno, dalla lingua del codice civile e penale, dalla lingua dello Stato. Una imposizione dall’alto inventata e subita dai poveri, come una budade paternalistica. Io Credo che il dialetto sia estemporaneo, abbia quella visceralità che quando lo scrivi, si scrive da solo, la mano va più veloce e per questo è certamente più legato alla poesia. I poeti quando scrivono sentono il suono delle parole. Il dialetto ha un suono particolare è locale ed universale. Quando senti infatti la musica regionale di Carlos Caraballo o di Cecaria Evora, o quella musica Capoverdiana, come quella Nordestina, vedi in queste piccole regioni legate al suono delle parole come una identità più forte, questa musica regionale è più selvaggia.

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(D) Parlando del tuo disco hai detto che Al Monte ci salgono gli Asceti, i Rivoluzionari, i Santi e Briganti. Essendo qui in terra di Briganti e Rivoluzionari d’ogni sorta, tu a quale di queste figure ti sei ispirato?
(R) Metterei da parte sicuramente il Santo! E dunque certamente tra queste montagne sarei in ottima compagnia. Sono comunque delle icone universali, che si incontrano in questo mio ultimo disco nel viaggio verso il monte. Il monte è una chimera, un’idea. Nella letteratura, ad esempio l’elemento del monte è molto presente. Dante e Petrarca parlano di questo viaggio al monte come un vero e proprio cammino di formazione. Anche i pellegrini medievali partivano sempre da una situazione di oscurità ma poi alla fine difendendosi dai predoni, magari, cambiavano pensiero.

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(D) In due dei tuoi ultimi singoli che sono destinati a diventare pietre miliari della musica cantautorale italiana, affidi alla voce di un bambino le seguenti parole “con le idee puoi cambiare il mondo, ma la tua vera rivoluzione sarà cambiare te stesso”. Mentre nell’altro invece il patriarca di casa Mannarino, tuo nonno dice: “bisogna saper distinguere la luce delle stelle da quella delle lampare”. Di fatto è un inno alla vita e una ricerca del modo per salvarsi la pelle, e questo lo fai in modo geniale attraverso l’innocenza dei bambini prima e la saggezza degli anziani dopo. Un proverbio Africano dice che il bambino cammina più veloce dell’anziano, ma è l’anziano che conosce la strada. E’ stato seguendo questa strada che sei cambiato artisticamente? 
(mentre finisco la domanda la produzione, che si è fiondata nella sala stampa da qualche minuto, si agita e con gesti inconsulti ci invita a terminare l’intervista, perché siamo in forte ritardo. Mannarino con un cenno della mano mette tutti a tacere, e si va avanti)
(R) Hai colto qualcosa che sento di aver fatto e che magari non avevo ancora intuito in questa dimensione. Bravo è la riflessione che facevamo poco fa. Oggi credo che la mia maturità artistica mi abbia fatto anche guardare proprio alla bellezza del dono della meraviglia, che può custodire un bambino che comunque viene scalfito dalla fermezza delle poche, ma sagge parole del nonno.

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(D) I tuoi concerti sono spesso seguiti da un folto pubblico femminile (ride di gusto sotto il baffetto) che in te vedono anche l’icona dell’artista maledetto. In Supersantos sono state proprio le donne a vincere, le stesse che dici ti hanno insegnato la via della libertà. Anche in questo nuovo spettacolo la donna è centrale, infatti ritroviamo una ragazza che scappa da quelle icone fisse dell’impero che, come le carte dei tarocchi poi cadono durante il viaggio, e questa donna ritrova l’uomo della sua vita proprio salendo al monte al cospetto delle stelle nel cosmo. Saranno proprio le donne che salveranno il mondo secondo te?
(R) A salvare il mondo non lo so, a salvare me già ci hanno pensato di sicuro. Tutte le donne che ho conosciuto mi hanno dato qualcosa che mi ha salvato, perché sono più legate ad una sensazione della vita piuttosto che ad un pensiero della vita.

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(D) Vinicio Capossela, Davide Van De Sfroos, Alessandro Mannarino. Oggi siete tre icone del cantautorato italiano che avete in comune l’uso spesso del dialetto in diversi progetti della propria terra, e una curiosità, tutti e tre amate indossare il cappello e rigorosamente Stetson. Il primo è Irpino di origine, il secondo Irpino di adozione, essendo cittadino onorario di Vallesaccarda. Noi abbiamo un sogno: Nord, Centro e Sud Italia uniti nel vedervi in Irpinia sullo stesso palco per una delle più grandi commistioni di tradizioni, culture e lingue di sempre. Credi sia possibile? 
(R) Certo sarebbe bello!!! Se sarai tu e il tuo staff a promuovere questo evento, io ci vengo di sicuro. (quasi mi emoziono io stavolta) So bene che l’Irpinia è una terra pregna di cultura, e non solo musicale. Non sapevo nemmeno la storia dei cappelli dei miei due colleghi, che stimo molto ovviamente. Allora questa sera a fine concerto, in occasione della chiusura del tour, e per omaggiare questa terra, ho deciso di regalare questo cappello che mi ha accompagnato nell’intero viaggio al Monte. Si lo lancerò tra il pubblico.

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(D) Mirabella Eclano era un antica città romana chiamata Aeclanum. Oggi in Irpinia invece è famosa per i grandi nomi della musica che ogni anno arrivano in piazza nel mese di Settembre grazie all’impegno dell’Amministrazione Comunale oggi sostenuta dal Sindaco Capone, che ha creduto fortemente in questa tua presenza.
(R) Mi hanno parlato dei notevoli sforzi che questa comunità svolge ogni anno per portare gratuitamente spettacoli importanti in Irpinia ma che poi di riflesso accoglie persone provenienti da ogni dove. E questo mi ha spinto a voler chiudere proprio qui il mio tour, l’ultima tappa di un viaggio straordinario per me e la mia band, ma soprattutto per e con il pubblico in piazza, che è artefice e protagonista fondamentale del percorso fino al monte.

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(D) In una intervista hai detto che per mettersi in allegria oltre alla buona musica e al sesso, dalla cantina ci vuole un rosato fresco del Salento, un vino cileno o un rosso piemontese. Noi a questo proposito allora crediamo che tu non abbia ancora degustato il più grande vino rosso d’Italia, che è tra i primi dieci migliori vini del mondo, è Irpino: Il Taurasi. Nel ringraziarti per il tempo che ci hai dedicato eccotene un presente!!!! 
(R) In effetti lo conosco ma non l’ho bevuto spesso. Quale occasione migliore allora. Stasera apriremo la bottiglia nel backstage per l’ultimo brindisi di quest’anno con tutto il mio staff. Grazie molte davvero!

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(D) Avrei ancora tre o quattro domande da fare (la produzione sì è ormai avvicinata a due centimetri dalla scrivania, il loro respiro si sente fin’anche nella registrazione video, siamo circondati e ci guardano minacciosi, dobbiamo arrenderci, tra venti minuti inizia il concerto a Mirabella e noi siamo ancora ad Ariano Irpino) ma chiudo con questa: Hai detto che le tue vacanze sarebbero state sul palco, la tua vacanza era fare il Tour. Questa sera a Mirabella Eclano si chiude il Tour. Allora da domani inizi a lavorare?
(una grassa risata liberatoria coinvolge anche tutti i presenti, e così finalmente si stempera anche l’agitazione e l’ansia che si era creata) (R) Che sei oh. Complimenti, le domande erano veramente belle. Mi sarebbe piaciuto sapere anche le altre domande. (Poi te le mando, ci vediamo giù)

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In trenta secondi se lo trascinano via di forza, e scappano a sirene spiegate, e noi insieme al loro, ovviamente!!!

Intervista realizzata da  Maurizio Giannetta