Sant’Angelo L. – Goleto: risorsa da conoscere e preservare

Abbazia del Goleto 5Sant’Angelo dei Lombardi - “La vera cultura affonda le radici nella valorizzazione di tutte le risorse territoriali, nella capacità di decidere e gestire, di produrre benessere, di preservare il patrimonio artistico e ambientale e tutelarlo dalla speculazione umana, che non può e non deve snaturare il carattere saliente del territorio con elementi estranei che non si riconoscono come identificazioni del luogo stesso”. Come non concordare con le lungimiranti affermazioni di Dora Garofalo, autrice di “Goleto 1968, Testimonianza di storia e arte”?

Già docente di Italiano e Storia, preside di istituti superiori in Alta Irpinia per diciassette anni, l’autrice, impegnata nel sociale, redattrice del periodico Altairpinia e collaboratrice de La Sorgente, nonché coautrice de Il Sud, un problema aperto, riprende uno studio sul Goleto effettuato da laureanda, “non soltanto per nostalgia, ma per aggiungere un ulteriore tassello a un passato che ha lasciato segni indelebili”. Un passato dalla valenza spirituale, civile e storica, da riproporre all’attenzione degli studiosi, delle istituzioni e dell’opinione pubblica, perché conoscano le peculiarità e prendano a cuore la salvaguardia delle risorse naturalistiche, paesaggistiche, ambientali e artistiche dell’Irpinia. “Le testimonianze di uno spaccato storico, culturale, religioso, economico e politico, non recente, scritte per stimolare la riflessione sul nostro presente, sono testimonianze di una civiltà che non vuol arrendersi al degrado, alla rassegnazione, alla sopravvivenza, - precisa l’autrice – Con il progresso tutto è cambiato, ma è bene ricordare quelli che eravamo, così come conoscere le nostre origini, legate molto spesso alla storia e all’antica bellezza di monumenti che hanno sfidato il tempo tra culture e il trascorrere di vite diverse”.

Validi motivi per i quali con il suo lavoro, ha voluto portare a conoscenza delle nuove generazioni la suggestiva storia dell’Abbazia di San Guglielmo al Goleto, vera e propria pietra miliare del territorio, che ancora oggi cattura lo sguardo di numerosi visitatori, nonostante i cambiamenti causati dall’incuria e incauti restauri. Voluto da Guglielmo da Vercelli, patrono principale dell’Irpinia dal 1942 e qui venerato dal 1142 al 1807, il complesso monumentale del Goleto, eretto tra Lioni e Sant’Angelo dei Lombardi, risale ai primi secoli del Medioevo classico. Tra gli anni Cinquanta e Sessanta, semisconosciuto da buona parte degli abitanti dei paesi limitrofi, il Goleto era diventato meta fissa di scampagnate soprattutto a Pasquetta, allorquando si consumavano i pasti fra i resti del Tempio Maggiore. In quel periodo l’abbazia versava nel degrado: abitata da pecore e asini incuranti, insieme ai loro padroni, dei fregi barocchi, dell’antico splendore e della sacralità del luogo. Quei ruderi affascinanti reclamavano la giusta attenzione di istituzioni, enti o privati, tanto che nel 1963 l’eco dell’esistenza del monumento abbandonato alle intemperie e alle ruberie, era giunta ai funzionari della Sovrintendenza ai Monumenti della Campania e persino la Cassa del Mezzogiorno, pareva volersene occupare. Invece, molto tempo si dovette ancora attendere, perché il Goleto fosse restaurato. Il mutamento si sarebbe avuto soltanto grazie a Padre Lucio Maria De Marino, “secondo fondatore dell’abbazia”, nominato rettore e curatore dell’antico cenobio nel 1973, nonché ai Piccoli fratelli della Comunità Jesus Caritas di Charles De Foucauld, che tuttora lo abitano e offrono ospitalità. Il certosino percorso di Dora Garofalo, corredato da un ampio servizio fotografico, testimonia il film del mutamento. Non solo: è l’occasione per un ampio excursus storico, antropologico e artistico, nell’Irpinia terra di invasioni e migrazioni, passando per la storia del monachesimo, del feudalesimo e soprattutto, di Guglielmo e della sua grandiosa opera. Guglielmo, proveniente dalla nobile famiglia Volpe di Vercelli, rimasto orfano di entrambi i genitori, rinunciò fin da giovanissimo alla sua condizione privilegiata, per indossare a 15 anni, l’abito monastico, in un monastero benedettino della città natale. “Attratto dalla grazia e colpito da una visione più alta della vita […], sposò l’esistenza aspra e disagevole del pellegrino, recandosi in spirito di penitenza, ai più celebri santuari della cristianità”. Si diresse in Galizia e in Terra Santa, quindi sempre a piedi, verso l’Italia meridionale, visitando prima le basiliche di Roma e giungendo poi alla città di Melfi, sul Monte Serico, e a Brindisi. Dopo amare vicissitudini, attraversò la Lucania e giunse ad Atripalda, dove udì la voce di Dio che lo chiamava a pregare e fare penitenza sulle asprezze del massiccio del Partenio, a Montevergine, dove tra il 1113 e il 1128, avrebbe costruito il santuario. Dopo Montevergine, Guglielmo, che sentiva crescere il bisogno di solitudine e luoghi più inaccessibili, si trasferì sul Laceno, dove fabbricò la chiesa di Santa Nesta, quindi a Tricarico, dove fondò un monastero, che una volta ben avviato abbandonò, per dirigersi, alla fine del 1131, nella valle di Conza alla volta del Goleto. In quel periodo di fervore bellico, Ruggero II il normanno, antipapale, era riuscito a farsi confermare Duca di Puglia e re di Sicilia (1130), unificando quel territorio che secoli dopo, sarebbe stato denominato Regno delle Due Sicilie. Guglielmo aveva portato la parola di Dio nella corte, nei palazzi dei signori feudali e nelle campagne, contro le ingiustizie e il malcostume. La sua fama di santità era giunta alle orecchie del normanno, infastidendo qualche cortigiano che aveva cercato di farlo apparire come un impostore. Una meretrice tentò di attirarlo in una trappola, ma quando fu al cospetto di Guglielmo, fu inviata a giacere con lui sui carboni ardenti. La donna allora si inginocchiò piangendo e chiese perdono per l’affronto. Divulgò poi ovunque la notizia del prodigio, vendette quanto possedeva e aiutò Guglielmo a fondare a Venosa, un convento femminile di cui divenne badessa.

Un lavoro che mancava, frutto di studio accurato, utile per capire, non soltanto per le generazioni più giovani, ma per tutti. Il complesso monumentale del Goleto è un patrimonio culturale e paesaggistico che dev’essere conosciuto e difeso dall’incuria, dall’incompetenza e dalla speculazione energetica in atto. Un libro utile, da consigliare a tutti, in maniera particolare agli amministratori locali, il cui compito dovrebbe essere, attraverso appropriata conoscenza, quello di amare, preservare, difendere e valorizzare le risorse del territorio, perché diventino fonti attrattive, tappe significative dell’itinerario culturale e religioso in Irpinia. Senza le nostre radici, senza la conoscenza del nostro passato, non possiamo costruire un grande futuro.