Avellino – Presentato al Laceno d’oro, il film di Gaglianone “la mia classe”

laceno d'oro“Tu di cosa hai paura?” “Di voi, ma ho il coraggio di venire qui tutti i giorni ad aver paura di voi”, così Valerio Mastandrea, in un passaggio dell’ultimo film di Daniele Gaglianone, La mia classe, di cui Mastandrea è anche coproduttore.

Il protagonista insegna l’italiano ad una classe di studenti extracomunitari. “Fare un film su queste tematiche non basta - ha sottolineato l’autore – non deve lasciare un senso di lezione, ma è un modo per tracciare una linea”. Gli abbiamo chiesto se il suo modo di trattare il tema dell’immigrazione dal punto di vista tecnico narrativo sia una sorta di ritorno al cinema-verità del neorealismo: “Mi sento un po’ a disagio quando vengono richiamate queste teorie, il mio approccio con la narrazione non discende da un discorso teorico, ma estremamente realistico, sebbene talvolta la realtà superi la fantasia. Credo in ogni modo che ci si confronti sempre con la realtà, anche quando si affrontano temi più leggeri, persino con i telefoni bianchi. Paradossalmente in questo film la parte più onirica è proprio quella meno manipolata in cui i protagonisti raccontano liberamente la verità: chi sono, cosa pensano, da dove vengono, da quali drammi fuggono. Il film è in realtà una sorta di docu-fiction in cui talvolta si perde il filo nel labile confine tra realtà e finzione, anche per la scelta tecnica in cui regista e protagonista principale giocano lungo queste due linee: il regista entra in scena, inquadrato, insieme ai fonici che microfonano i ragazzi. Mastandrea riflette insieme a lui su alcuni passaggi, compreso chiedersi se in realtà quello che stanno facendo serva realmente a qualcosa. “La genesi del film – ci ha raccontato l’autore – si rifà a Vittorio De Seta che, con Diario di un maestro, insegnava ad una classe vera di bambini della periferia romana agli inizi degli Anni Settanta recuperati alla scolarità. Prendendo spunto da questo, ma senza voler fare un remake, ho immaginato di dare il ruolo di professore ad un attore che avrebbe insegnato ad una vera classe di immigrati. Valerio ha subito accettato e questo mi ha consentito di avere il vantaggio di pensare a una faccia adatta a interpretarlo. Ho girato per le scuole serali e fatto incontri informali chiedendo a chi fosse interessato di partecipare. Uno di quei ragazzi, Issa, così come evidenziato nel film, aveva realmente la preoccupazione per la scadenza del suo permesso di soggiorno, rispetto alla quale abbiamo provato a immaginare un canovaccio di come noi persone altre da quel problema, avremmo potuto reagire. Quando si è verificato, io e Valerio ci siamo chiesti il senso del film: l’ennesimo sull’immigrazione per sentirci tutti meglio? Abbiamo cercato di immaginare una reazione sensata, per cercare di risolvere il suo problema, ma questo ci ha tolto la voglia di fare il film così come immaginato inizialmente. Siamo arrivati a sconvolgerlo, a entrare anche noi nel film per far sentire il disagio che stavamo provando a nostra volta per delle leggi ingiuste, che non ci piacciono. Insomma, attraverso i loro racconti, attraverso il modo bipolare di stare sul set, abbiamo voluto fare una provocazione sia nel modo di girare sia nelle tematiche affrontate, insufficiente a mettere a posto le coscienze”. Il regista nega l’illusione che dirigere il film, recitarvi o essere spettatori, equivalga ad aver fatto il proprio dovere di buon cittadino contro l’ingiustizia.

Un film intenso e interessante, un contributo ad addentrasi nei drammi di coloro che illudendosi vengono a cercare da noi la loro terra promessa finendo bistrattati e sfruttati. Un contributo utile a superare indifferenza e cinismo per ritrovare un senso di umanità e almeno un minimo senso di solidarietà verso l’altro, il diverso, per accettarlo e comprendere finalmente, che può essere una risorsa, non un nemico da combattere.                                                                                                                                                                                                                                                                                                 Più che convincente l’interpretazione di Valerio Mastandrea, estremamente naturale nel suo ruolo di professore appassionato del suo lavoro, pur alle prese coi suoi drammi personali. Un film da vedere, che stimola la riflessione, anche sulla mission educativa degli insegnanti e che anche per questo andrebbe proposto nelle scuole.