Le vertenze senza fine di un’Irpinia in ginocchio
Mesi duri tra difficoltà e inadempienze. Decine le vertenze aperte in tutti settori. Il 99% delle aziende metalmeccaniche (ad eccezione di Ema e Cms a Morra de Sanctis) usufruisce della cassa integrazione, la Irisbus resta una ferita aperta, fuori 143 esodati restano oltre cinquecento unità, anche se qualche spiraglio si intravvede all’orizzonte e s’attende il vertice al Mise che dovrebbe ufficializzare l’interessamento di Giovanni Cottone e la sua lambretta, nubi sulla Denso di Pianodardine per la decisione di Fiat di voler produrre a Melfi dal 2015 il nuovo modello 500 e un Suv: produzioni che non rientrano nell’offerta Denso ad oggi produttrice di pezzi per la Punto. A Pratola Serra sono già 93 i posti di lavoro persi, ma in Fma c’erano anche altre aziende come l’Astec che rischia di lasciare per strada 110 unità se entro il 10 gennaio non arriveranno risposte. A Nusco la bella notizia che Almec, oggi Sirpress, è stata acquistata da Gruppioni rischia di arenarsi se non si recupereranno tutti i 267 operai specializzati. Il polo conciario a Solofra con i suoi oltre cinquemila addetti non decolla: la certificazione ambientale che avrebbe dovuto garantire il salto di qualità per una delle realtà produttive più importanti d’Italia si ferma nelle pastoie burocratiche e richiede troppo importanti investimenti in un periodo di crisi come questo. Gli edili lamentano perdite consistenti: oltre mille posti di lavoro l’anno e cantieri fermi in tutta la provincia. Rispetto al 2011 sono -80% i lavori avviati, ma molti di questi sono fermi per la mancanza di fondi. La città di Avellino non pagherà probabilmente lo scotto di un commissariamento che non ha saputo muovere nulla: tutto fermo e le grandi opere avviate e non restano al palo con la perdita di milioni e milioni di euro finanziati dall’Unione Europea. A San Martino Valle Caudina ha fermato le attività la Ilas, specializzata da oltre cinquanta anni in fabbricazione di mattoni, e lasciato senza stipendio da cinque mesi i circa quaranta lavoratori che da tre mesi sono in presidio permanente. Un quadro, insomma, poco incoraggiante per un’Irpinia evidentemente azzoppata e incapace di riprendere il cammino lungo il sentiero della crescita e dello sviluppo. I prossimi mesi saranno decisivi.